Ripercorrere la storia di secoli di devozione attraverso i graffiti spontanei lasciati dai fedeli nella cripta del Borgo Sacro tra il XV e l’inizio del XX secolo: questo l’obiettivo di una ricerca svolta dal 30enne Riccardo Valente, e finanziata da Regione Lombardia in un’ottica di valorizzazione dei siti Unesco 

In prevalenza laici di sesso maschile, credenti che non appartenevano allo stato ecclesiastico, raramente donne, soltanto un paio si qualificano come sacerdoti, ciascuno attratto dalla sacralità del luogo e ansioso di lasciare “accanto alla Madonna” un segno di sé, del proprio passaggio, della propria devozione. É l’identikit del pellegrino-tipo tracciato da Riccardo Valente, autore della ricerca sui graffiti spontanei che i visitatori hanno inciso nella cripta e negli ambienti sottostanti il santuario di S. Maria del Monte tra il XV e il XX secolo. Firme di presenza, date e nomi spesso graffiati sull’intonaco o sulla superficie dipinta, ricoperta dagli affreschi: “Oggi sarebbero bollati come atti di vandalismo - spiega Valente -  ma il giudizio dipende dalle convinzioni culturali della nostra epoca. Non sempre, in passato, i muri dipinti erano considerati intoccabili. Forse l’incisione rovina la pellicola pittorica dal punto di vista tecnico ed estetico, ma aggiunge qualcosa sul piano storico”.

All’inizio del quindicesimo secolo la montagna sopra Velate era fitta di boschi e di crepacci. I pellegrini salivano alla chiesa di S. Maria del Monte per disagevoli e pericolosi sentieri incontrando, talvolta, piccole comunità femminili di spontaneo monachesimo. Ad esse, vincendo l’opposizione del parentado, si unì la giovane Caterina Moriggi ma la comunità fu falcidiata da un’epidemia di peste e Caterina dovette ritornare a Pallanza da dove era giunta. Il 24 aprile 1452 salì definitivamente all’eremo dove la raggiunsero Giuliana Puricelli e Benedetta Biumi e con l’autorizzazione di Sisto IV, il Papa che diede il nome alla Cappella Sistina, presero il velo il 10 agosto 1476. 

Il letterato Domenico della Bella di Maccagno (per questo detto Il Macaneo), descrive la chiesa di S. Maria del Monte nel 1490 adorna d’oro e d’argento, i ceri sospesi alla volta o esposti sulle pareti e gli ex-voto degli ammalati, risanati con la preghiera da piaghe e cancrene. Le processioni salgono dalle antiche strade di accesso. Sono carrettieri e pellegrini a piedi e a cavallo e portano doni e masserizie. La via principale esce dalla porta S. Martino a nord di Varese, passa dalla bettola nuova, un complesso quattrocentesco oggi demolito e sale a Sant’Ambrogio, Fogliaro, Oronco e Cascina Moroni. L’alternativa per chi proviene dalla valle dell’Olona è la via dei mulini. Il percorso è punteggiato da taverne e osterie che offrono ristoro ai viaggiatori.

“I graffiti sono un’espressione storica, sociale, devozionale e culturale di quegli anni lontani e sono parte integrante del patrimonio come gli affreschi con grafie e scritture arcaiche in latino e in italiano volgare”

Raggiunto il santuario, c’è chi non rinuncia a lasciare un segno di sé. “I graffiti più antichi risalgono agli anni sessanta del millequattrocento, ci sono le date a testimoniarlo - conferma lo storico - Per gli altri siamo in grado di fare solo delle stime. Nomi noti? Personaggi celebri? Un’incisione dalla grafia arcaica riporta il nome di “baldesar de lampugnano”. Potrebbe trattarsi del rettore dell’ospizio di S. Erasmo a Legnano che visse effettivamente in quegli anni. Oppure di un omonimo. Il fenomeno era frequente quando i nomi si ripetevano anche all’interno della stessa famiglia”. 
Chi poteva entrare nella cripta? Il luogo era agibile a tutti per pregare o limitato alle celebrazioni? Un graffito fornisce indizi di chi e perché visitasse il monte. Fu inciso sull’affresco della Madonna in trono, nella prima stanza a cui si accede dal portico della basilica in direzione della cripta. È firmato “petrus de bossis” e segnala che con Pietro c’era la moglie “franscina”. Allora era la regola che i fedeli chiedessero la grazia per una gravidanza o si sdebitassero con la Vergine per un parto avvenuto senza complicazioni. La presenza della moglie di Pietro Bossi sottolinea la devozione femminile.

Dai segni lasciati sui muri - nomi, date, croci e il disegno di una colomba appoggiata su un ramo - non emergono rivelazioni sui mestieri svolti dai pellegrini. Né sulle sepolture, molto più antiche, addossate all’esterno della navata del santuario (tra gli altri, un loculo dipinto in rosso con i resti scheletrici di due individui adulti che è allo studio dei tecnici dell’Università dell’Insubria). In totale sono un’ottantina di graffiti, di cui sessantacinque anteriori al XVIII secolo quando la chiesa romanica era già ridotta a cripta. Alcuni incisi sui muri esterni, quando quei tratti erano a cielo aperto. 
Riccardo Valente, 30 anni, di Monza, laureato in archeologia e in storia dell’arte all’Università Cattolica di Milano con un dottorato di ricerca al Politecnico, collabora con entrambi gli atenei. É stato incaricato di eseguire l’esame dei graffiti dalla Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte di Varese e dalla parrocchia di S. Maria del Monte. Il progetto è finanziato dalla Regione Lombardia nell’ambito degli interventi per le attività culturali nelle aree archeologiche e nei siti iscritti o candidati alla lista Unesco. 

Per la tesi di laurea, Valente si era già occupato di studiare le scritte antiche nel battistero di Castiglione Olona e l’indagine era confluita in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Aevum. 
“Lo studio delle incisioni nella cripta di S. Maria del Monte sarà oggetto di una pubblicazione che uscirà nel 2018 - spiega -. Il valore dell’indagine sta nell’aver analizzato un luogo di importante stratificazione archeologica, architettonica e spirituale. Si parte dalle origini remote del cristianesimo e si arriva ai giorni nostri con una sequenza di edifici che insistono negli stessi luoghi. Graffiti risalenti al XV secolo non sono così frequenti da trovare e ci riportano ad un periodo in cui il Sacro Monte era molto diverso da come lo conosciamo oggi. Se il santuario a fine Quattrocento aveva già l’impianto odierno, pochi anni prima c’era ancora la vecchia struttura romanica”. 

Chi ha inciso i muri lasciando i segni che oggi proviamo a interpretare, camminò e osservò luoghi nel frattempo cambiati o scomparsi e salì al monte seguendo itinerari diversi da quelli odierni

Quindi, chi ha inciso i muri lasciando i segni che oggi proviamo a interpretare, camminò e osservò luoghi nel frattempo cambiati o scomparsi e salì al monte seguendo itinerari diversi da quelli odierni. “Tutto questo - aggiunge Valente - conferma la frequentazione ininterrotta dei fedeli a S. Maria del Monte nel corso dei secoli. I graffiti sono un’espressione storica, sociale, devozionale e culturale di quegli anni lontani e sono parte integrante del patrimonio come gli affreschi con grafie e scritture arcaiche in latino e in italiano volgare. Possiamo leggere ‘mazo’ al posto di maggio e verificare che molte date cinquecentesche sono scritte con i numeri arabi”. 

Anche i graffiti più recenti sono oggetto di studio. Molti scritti a matita, eredità di fine Ottocento e primo Novecento quando si saliva al monte con i cavalitt de Sant’Ambroeus e con le carrozze trainate da due o quattro buoi - i cosiddetti tram dei buoi - in partenza dalla Prima Cappella. O ancora prima quando i pellegrini più abbienti viaggiavano sulle portantine a uno o due posti, con o senza baldacchino. Ma il lavoro non è ancora finito. Restano da indagare i graffiti che i fedeli hanno lasciato in quattro secoli di salite devozionali lungo il percorso delle cappelle del rosario. Valente è sicuro: “Sarà un altro lavoro appassionante”. 



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