Sempre connessi, anche in e per l’azienda. Essere digital e social oggi non è un obiettivo, ma un dato di fatto. Ma quali sono le buone prassi che un datore di lavoro e un responsabile delle risorse umane devono adottare perché in ufficio Internet venga usato al meglio?  

Internet sul luogo di lavoro, social annessi e connessi, è ormai un dato di fatto. Questo comporta grandi opportunità in termini di comunicazione e qualche rischio. Di fronte al cambiamento, sorgono interrogativi, tecnici, gestionali e persino etici su come gestire al meglio questa opportunità, valorizzandola e limitando il più possibile i rischi. Come deve porsi, ad esempio, il responsabile delle risorse umane nei confronti di un lavoratore in azienda rispetto al tema? Varesefocus lo ha chiesto all’esperto Angelo Zambelli dello Studio Legale Grimaldi di Milano.

Avvocato, può il datore di lavoro, secondo la normativa controllare a distanza che in azienda si faccia un buon uso degli strumenti digitali? 
Con il Jobs Act (D.Lgs. n. 151/2015), il legislatore ha riscritto l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970) allo scopo di adeguarne il dettato alle innovazioni tecnologiche intervenute nel mondo del lavoro, facendo tuttavia salva la finalità della norma, che è quella di contemperare le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore. Nella nuova formulazione, resta quindi confermato il divieto di controllare a distanza, tramite l’uso di impianti audiovisivi o di altre apparecchiature, la prestazione lavorativa dei dipendenti. Tale divieto è infatti ritenuto essenziale affinché il potere di controllo del datore di lavoro sia mantenuto entro una dimensione “umana” e rispettosa della personalità del lavoratore. E, tuttavia, l’assolutezza del divieto viene meno a fronte di specifiche esigenze di natura organizzativa, produttiva, di sicurezza del lavoro o di tutela del patrimonio aziendale. In tali casi, infatti, l’utilizzo di strumenti dai quali possa derivare - anche solo in via ipotetica - un controllo a distanza sui lavoratori diviene possibile previo accordo collettivo aziendale o, in difetto di tale accordo, previa autorizzazione ministeriale.

In quest’ultimo caso è necessaria una procedura particolare? 
Il secondo comma dell’articolo 4 (che costituisce l’elemento di maggior novità della riforma) precisa che nessuna procedura autorizzativa è necessaria con riferimento agli “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” (computer, tablet, cellulari, smartphone, geolocalizzatori, software di condivisione e comunicazione telematica e la stessa rete Intranet aziendale) e agli “strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze” (es. badge elettronici).

Quindi, possono essere raccolte delle informazioni a tutela dell’ambiente di lavoro... 
La norma dispone che le informazioni raccolte con i mezzi di cui al comma 1 (impianti audiovisivi e altri strumenti autorizzati) e 2 (per i quali l’autorizzazione non è necessaria) possono essere utilizzate “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” e, quindi, anche a fini disciplinari e di valutazione della performance, purché “sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli” nel rispetto dei princìpi dettati Codice della Privacy (D.Lgs. 196/2003).

Si avverte in questa normativa, così come in altre - ad esempio la Privacy che lei citava - un’urgenza attualissima: conciliare la libertà del singolo con la strategia e la gestione quotidiana dell’azienda. Non sempre nella gestione operativa è facile centrare quest’obiettivo: esiste un consiglio pratico per raggiungerlo?
Fondamentale è munirsi di una policy aziendale. È così evidente l’intento del legislatore di ricercare sul piano dell’informazione al lavoratore il punto di equilibrio tra le esigenze aziendali e la necessità di preservare i dipendenti da una sorveglianza potenzialmente occulta, continua e anelastatica. I dati raccolti potranno quindi essere utilizzati anche contro il lavoratore, purché lo stesso sia stato preventivamente reso edotto circa oggetto e modalità del controllo a cui è sottoposto, e purché il datore di lavoro abbia tenuto conto - nell’esercizio del proprio potere di controllo - dei vincoli imposti che discendono dal rispetto della normativa in materia di trattamento dei dati personali. Sotto il primo profilo un ruolo centrale sarà rivestito dalle policy aziendali, alle quali sarà affidato il compito di informare dettagliatamente i lavoratori su quali siano le modalità di utilizzo degli strumenti messi a disposizione e se, in che misura e con quali modalità verranno effettuati controlli. Lo scopo potrà essere raggiunto predisponendo un disciplinare interno, chiaro e aggiornato, affiancato da un’idonea informativa ex art. 13, D.Lgs. 196/2003 (c.d. “informativa privacy”) e intervenendo – se del caso - anche sul modello organizzativo ex D.Lgs. 231/2001. Sotto il secondo profilo è invece essenziale che l’impresa esegua il trattamento dei dati nel rispetto di quanto stabilito dal Codice della Privacy in tema di pertinenza, correttezza, non eccedenza e divieto di profilazione, nonché delle prescrizioni e linee guida del Garante della Privacy (per es. in materia di posta elettronica e Internet; biometria; videosorveglianza; localizzazione veicoli; localizzazione dispositivi mobili ecc.). Solo una scrupolosa attenzione ad entrambi i profili consentirà all’impresa di sfruttare appieno le possibilità offerte dalla riforma. 

 

Workplace, la rivoluzione di Facebook

Immaginate se esistesse un Facebook per le imprese... Ecco, non occorre. Esiste già! Si chiama Workplace ed è un’emanazione del noto social network ideato da Mark Zuckerberg. E c’è chi già l’ha adottato con grande soddisfazione. Stanley Black & Decker ad esempio che, con ben oltre 50.000 dipendenti in 175 Paesi nel mondo, può a buon diritto essere considerato un caso esemplare. “La scelta di aderire alla piattaforma, grazie ad un accordo stretto dall’azienda globalmente” ci racconta Alessio Citro Responsabile delle Risorse Umane per l’Italia “è stata dettata semplicemente dalla volontà di essere sempre più social, soprattutto per attenzione nei confronti delle nuove o future leve, millenials e nativi digitali”. Un punto di vista semplice che ha già portato sul nuovo social realtà internazionali come Starbuck’s, WWF,  Financial Times, Save the Children Fund, Discovery Communications.
Ma di cosa si tratta? Dopo una lunga fase test, Facebook, forte dell’esperienza maturata con i suoi ormai 2 miliardi di iscritti, ha aperto a tutti un nuovo servizio riservato alle imprese che, in estrema sintesi, propone le caratteristiche del popolare social per l’uso aziendale. Postare aggiornamenti stato, foto, video anche in diretta e link, informarsi, condividere, commentare, chattare, fare rete, creare piccole o grandi community monotematiche aperte o riservate: le possibilità e le potenzialità del nuovo strumento sono chiaramente immense, come papà Facebook insegna. Un sistema per il momento a pagamento e che potrebbe in futuro nemmeno troppo remoto diventare gratuito almeno per le piccole realtà.
“In pratica la comunicazione interna in azienda è completamente cambiata: postiamo e condividiamo cose di lavoro con la naturalezza e la semplicità d’uso di Facebook. Questo aiuta moltissimo la fruibilità e la condivisione delle informazioni”, spiega con soddisfazione Citro. “Niente di complicato: la mattina si apre il browser, si trova Workplace e si comincia a lavorare! Attenzione, però: non vi è stato nessun obbligo da parte dell’azienda perché i dipendenti usassero questo sistema. Ma anche quella fascia di persone che normalmente rigettano i social network si è resa conto dei vantaggi e si è convinta a diventare smart. Naturalmente non ci sono solo lati positivi: si dovrà lavorare, a livello di sistema e culturale, per tutelare la questione privacy, ma questo è normale quando cresce il flusso delle informazioni”. Workplace, dunque, dovrà dimostrare alle aziende di essere un luogo sicuro, oltre che smart, ma le premesse perché rappresenti una nuova social rivoluzione ci sono tutte.



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