Fare una riflessione sulla memoria è molto complicato, il rischio di cadere nella trappola retorica o della banalizzazione affidata a frasi fatte è sempre molto alto. L’unica operazione accettabile è chiedersi come riportare al tempo presente il significato dei fatti ricordati. Lo scrittore ebreo polacco Wlodek Goldkorn nel libro “Il bambino nella neve” (Feltrinelli), a proposito della memoria sulla Shoah e del rapporto tra vittima e carnefice, offre al lettore uno spunto interessante. “Io penso - scrive Goldkorn - che essere stati vittima o carnefice non cambia niente. Conta solo la capacità o l’incapacità di mettersi nei panni altrui; non di amare l’altro, compito troppo difficile, quasi impossibile; ma di pensare cosa farei io, come mi sentirei io, quali paure avrei provato io, se fossi nella situazione dell’altro. Penso che questa capacità vada insegnata, e non nasce spontaneamente”.

Nel periodo dell’anno in cui si commemorano le vittime dell’Olocausto, il ricordo dei lavoratori della Comerio Ercole che nel 1944 furono deportati nel campo di concentramento di Mauthausen

Ricordare ogni anno ciò che fecero i nazisti il 10 gennaio del 1944 alla Comerio Ercole, storica azienda di Busto Arsizio, finita dopo l’armistizio sotto il controllo dei tedeschi, serve proprio a dare una risposta a quelle domande. Quando le Ss, mitra alla mano, intimarono agli operai di porre fine allo sciopero, ottenendo solo un secco rifiuto, c’erano pochi dubbi sulle conseguenze di un gesto che, al di là delle implicazioni politiche in senso generale, avrebbe avuto gravi ricadute personali. Eppure, nonostante ci fosse in gioco la vita, nessuno fece un passo indietro, tantomeno i più esposti, cioè i membri della commissione interna dell’azienda, che furono arrestati sul posto. Il tornitore Arturo Cucchetti, il disegnatore tecnico Vittorio Arconti, gli aggiustatori Guglielmo Toia e Ambrogio Gallazzi, l’elettricista Giacomo Biancini erano persone normali che lottavano per i propri diritti, consapevoli del ruolo ricoperto e delle loro responsabilità. A questi se ne aggiunse un sesto, il gruista Alvise Mazzon che, reo di aver fatto un gesto provocatorio nei confronti dei nazisti, venne allineato con gli altri sotto il muro di cinta della fabbrica. Un destino condiviso anche dai fratelli Melchiorre e Pino Comerio contitolari dell’azienda e da tempo sotto stretta osservazione dei nazifascisti perché ritenuti soggetti poco allineati, anzi, per niente allineati con la Rsi, come riportato dalle relazioni informative redatte dal comando operativo di zona. In uno di questi rapporti, dopo l’ennesimo fermo dei due industriali da parte dei repubblichini, si legge che il provvedimento era dovuto in quanto i due Comerio erano “già da tempo segnalati come elementi contrari alla Repubblica sociale italiana” (fonte, “La notte di Salò 1943-1945” di Franco Giannantoni).

Dopo l’incarcerazione a San Vittore, per i sei operai la destinazione finale fu il campo di Mauthausen-Gusen, nel nord dell’Austria, dove arrivarono l’11 marzo del 1944 e dal quale uscirono vivi solo in tre

La notizia della rappresaglia nazista alla Comerio Ercole fece il giro della città. A quel punto, pur sapendo che le Ss non avrebbero mai rinunciato alla loro violenza esemplificativa, cioè colpire alcuni per convincere il resto degli operai a riprendere il lavoro, i parenti e gli amici dei lavoratori andarono fuori dai cancelli della fabbrica ma qui vennero respinti dai tedeschi che con le autoblindo presidiavano l’intero perimetro.
L’attesa durò tutto il pomeriggio, fino a quando i nazisti decisero che quei lavoratori andavano trasferiti al carcere milanese di San Vittore, all’epoca tappa obbligata per tutti i prigionieri, della provincia di Varese e non solo, destinati ai campi di concentramento e di sterminio. Per i sei operai la destinazione finale fu il campo di Mauthausen-Gusen, nel nord dell’Austria, dove arrivarono l’11 marzo del 1944 e dal quale ne uscirono vivi solo in tre. Vittorio Arconti morì il 29 novembre dello stesso anno ad Hartheim (Austria), a causa dei maltrattamenti subiti, aveva 43 anni. Arturo Cucchetti, coscritto del primo, morì un mese dopo l’arrivo nel campo. I suoi compagni lo videro vivo per l’ultima volta mentre veniva trasportato in infermeria dopo essere stato picchiato dalle Ss. Ambrogio Gallazzi morì a 34 anni, poco prima della liberazione. Il 24 aprile del 1945, durante un allarme aereo, mentre i deportati cercavano riparo in una galleria in costruzione, veniva azzannato dai cani perché, ormai debilitato, era rimasto staccato dal gruppo. Giacomo Biancini, il più giovane del gruppo - aveva appena 21 anni quando venne deportato - fu liberato a Ebensee (Austria) dagli americani e Guglielmo Toia a Mauthausen. Il gruista veneto, Alvise Mazzon, l’unico che non faceva parte della commissione interna, duramente provato dalla deportazione, morì poco dopo il suo ritorno a casa.
La coerenza dei 6 lavoratori della Comerio Ercole non rimase un caso isolato perché molti altri dipendenti, presenti la mattina del 10 gennaio 1944, aderirono alla Resistenza e alle formazioni partigiane. Tra questi anche Giovanni Ballarati, Luigi Caimi, Rodolfo Mara, Bruno Raimondi e Mario Vago che morirono durante la guerra di liberazione.

 



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