La quarta rivoluzione industriale avanza nel mondo. Ed ora, dopo l’approvazione a fine 2016 della Legge di Stabilità, c’è anche la risposta italiana. Quella contenuta nel “Piano Nazionale Industria 4.0”. Sul piatto ci sono 13 miliardi di euro che verranno stanziati tra il 2017 e il 2020. Con obiettivi precisi. Come quello di dar vita ad un incremento di 10 miliardi di euro degli investimenti privati, già a partire dal prossimo anno e ad un balzo in avanti di 11,3 miliardi della spesa, sempre privata, in Ricerca e Sviluppo da qui al 2020. Non solo, tra le direttrici che muovono il piano ci sono anche quelle di accrescere le competenze del capitale umano nazionale.

La Cina investirà più di mille miliardi. Gli Usa puntano sui network. L’India spera di attrarre investimenti stranieri. La Francia vuole sostenere le Pmi. La Germania gioca d’anticipo. Ogni Paese ha una propria ricetta per digitalizzare le fabbriche. Compresa l’Italia che si è dotata di un Piano Nazionale

Su questo fronte l’obiettivo è di formare nei prossimi 3 anni 200mila studenti universitari e 3mila manager specializzati sui temi dell’Industria 4.0. Questi i punti di arrivo. Ma come arrivarci? Tra le agevolazioni previste dal governo ci sono: la proroga del superammortamento al 140% e l’introduzione dell’iperammortamento del 250%; l’aumento del credito d’imposta dal 25% al 50% da applicare sulle spese in ricerca e sviluppo; l’introduzione di detrazioni fiscali fino al 30% per investimenti fino a 1 milione di euro in startup e Pmi innovative; la previsione dell’assorbimento da parte di società “sponsor” delle perdite di startup nei primi 4 anni di vita. Questo il piano italiano. Ma come si stanno muovendo gli altri Paesi avanzati per la promozione della fabbricazione digitale? A rispondere è un’indagine conoscitiva redatta dalla Commissione Parlamentare Attività Produttive. Da cui emerge una fotografia per Stati della politica industriale mondiale. Ecco alcuni dei più interessanti e strutturati.

 

Stati Uniti: largo ai privati

L’innovazione dell’industria americana passa per il Rivitalize American Manufacturing and Innovation Act del 2014. L’obiettivo è creare una rete nazionale per l’innovazione, un network fatto di center for manufacturing innovation per la diffusione di nuove tecnologie e competenze. L’impianto fa perno sull’iniziativa e sui capitali privati. Allo Stato Federale fanno capo solo misure di assistenza finanziaria, un supporto erogabile solo qualora il richiedente possa comprovare la disponibilità di ulteriori risorse. I “centri” sono riconosciuti tali dall’autorità ministeriale solo se dimostrano di essere in grado di promuovere la competitività dei settori industriali e di indirizzare verso di essi nuovi flussi finanziari da parte di investitori privati. Nonché la capacità di coinvolgere nelle attività del “centro” una rete consortile di imprese, laboratori scientifici e università. Sul piatto Washington ha messo 500 milioni di dollari.

 

Francia: reindustrializzazione a suon di incentivi

Il piano di reindustrializzazione francese si basa sul progetto Industrie du Futur lanciato dal Presidente François Hollande nel 2015 e guidato centralmente dal Governo che ha stanziato 10 miliardi di euro. Per fare cosa? Essenzialmente accompagnare le imprese verso la trasformazione del loro modello d’affari, la loro organizzazione e i loro modelli di design e marketing. Cinque sono i pilastri su cui si basa l’intervento statale: lo sviluppo di una nuova offerta tecnologica basata sull’Industria 4.0; l’accompagnamento delle Pmi e delle imprese industriali intermedie verso l’industria del futuro, attraverso l’intervento delle Regioni, con il sostegno dell’associazione dell’Alliance pour l’Industrie du futur;  l’aumento delle competenze e della creazione di nuovi mestieri attraverso la formazione; il rafforzamento della cooperazione europea, soprattutto con la piattaforma tedesca Industrie 4.0; la promozione di 15 progetti-vetrina. Sono, tra l’altro, previsti incentivi fiscali per 2,5 miliardi per gli investimenti privati delle imprese e 2,1 miliardi di prestiti per lo sviluppo.

 

Germania: il coordinamento delle idee

Il primo piano di azione al mondo sulla quarta rivoluzione industriale è stato quello tedesco: Industrie 4.0, lanciato nel 2011. La piattaforma mira ad assicurare e potenziare, a livello internazionale, i primati del sistema manifatturiero nazionale da cui dipendono 15 milioni di posti di lavoro. Il sistema ha le basi su un dialogo tra imprese, sindacati, università e politica. Alla guida ci sono il Ministero dell’Economia e dell’Energia e il Ministero dell’Istruzione e Ricerca. Esiste una Direzione che è l’organo decisionale superiore e determina linee strategiche e dotazione finanziaria (di 1 miliardo l’impegno pubblico fino ad oggi). Operativamente agiscono poi un Comitato strategico (di cui fanno parte la Cancelleria federale, i Länder, le associazioni di settori e i sindacati) e un Comitato dirigente (costituito da rappresentanti delle imprese e dei sindacati). A coadiuvarli un Consiglio scientifico. Tra le varie iniziative, degne di nota sono i 120 milioni di finanziamento di progetti di ricerca e i 100 milioni per lo sviluppo di innovazioni di industria digitale.

 

Cina: un piano da mille miliardi di euro

Si chiama Made in China 2025 il piano con cui Pechino intende traghettare la proprio industria verso il 4.0. Ad oggi, infatti, il governo cinese definisce la propria manifattura 2.0. Con il piano promosso dal Ministero dell’Industria e dalla Chinese Academy of Egineering, invece, la trasformazione in 3.0 dovrebbe avvenire nel medio termine, per arrivare ad una produzione 4.0, appunto, nel 2025. Non mete generiche. Le asticelle che il Paese vuole raggiungere sono ben delineate nel piano: la Cina vuole arrivare al 2020 con una produzione del 40% dei componenti e dei materiali industriali realizzati nel mondo. Per salire al 70% nel 2025. Non solo quantità. La parte rivoluzionaria del Piano è quella di colmare il ritardo storico nei confronti delle potenze europee che ha spesso relegato la produzione industriale cinese in settori a basso contenuto tecnologico. Robotica, aerospazio, cantieristica navale, macchinari agricoli, energia e il trasporto ferroviario: questi i settori dove la Cina investirà, secondo una stima di Citigroup, 1.090 miliardi di euro.

 

India: una calamita per gli investimenti esteri

Il progetto governativo Make in India è stato lanciato dal primo ministro Narendra Modi nel 2014. Obiettivo: modernizzare l’industria indiana attraverso l’attrazione di investimenti esteri. Il progetto fa tutto perno su iniziative che siano in grado di convincere gli investitori stranieri a scommettere sull’India. Ciò attraverso la promozione dell’innovazione e il rafforzamento della proprietà intellettuale. Sono cinque le direttrici del piano: traghettare l’economia dai servizi, all’industria; trasformare l’India in un centro industriale di livello mondiale; potenziare la crescita manifatturiera  di almeno il 10%; creare 10 milioni di posti di lavoro; incrementare il numero di stabilimenti produttivi stranieri nel Paese. E qualche risultato il governo lo ha già raggiunto. Lo certifica il Financial Times secondo cui l’India, nel 2015, risulta essere stata la prima destinazione mondiale degli investimenti esteri diretti: 31 miliardi di dollari. Contro i 28 miliardi della Cina e i 27 miliardi degli Usa.

 

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