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Chi non lo conosce il fruttivendolo Eugenio Dell’Ova? La sua storia si intreccia con quella di una città di cui custodisce ogni segreto 

Eugenio lo incroci a ogni ora del giorno sulla direttrice Morosini, Vittorio Veneto piazza Monte Grappa, in sella a una vecchia bicicletta bianca con portapacchi, un giubbotto imbottito in inverno, il camice giallo canarino nella bella stagione. Avanti e indietro a fare le consegne, oggi, a 76 anni, come il 20 novembre 1959, quando diciottenne incominciò a lavorare come garzone nella boutique dell’ortaggio di allora, la celeberrima “Enrichetta” di piazza San Giuseppe. Eugenio non si ferma mai, non lo ha fatto neppure dopo il terribile incidente di qualche anno fa, quando cadde dalla bicicletta di sera, al buio, inciampando in una catena e rimanendo in rianimazione per diversi giorni per un grave trauma cranico.

È innamorato del suo lavoro, di ogni frutta e verdura conosce i più nascosti segreti, disserta delle zone di produzione, di climi e varietà di cultivar, visita di persona orti e frutteti e il suo negozio è una sorta di paese dei balocchi per chi cerca ciliegie e albicocche a dicembre, crescione e amarene, verdura di Casbeno, mozzarella di bufala campana e altre leccornie. Ma Eugenio Dell’Ova, nato a Carinola, in provincia di Caserta, il 21 luglio 1941, è anche un eccezionale raccontatore di storie, un po’ alla Piero Chiara, e lo si starebbe ad ascoltare per ore, tanti sono gli aneddoti e i ricordi di vita, le persone conosciute, i luoghi di lavoro cambiati con lo scorrere degli anni.

Oggi il Frutteto Dell’Ova è in viale Milano, tra una stazione e l’altra, e allo sbocco del sottopasso appare come una festa di colori, con le primizie in bella vista, disposte dall’Eugenio come in una tela di Caravaggio, a sinistra le verdure e a destra le frutta, in fondo il reparto vini che il nostro cura personalmente. La società fa capo al nipote Saverio Dell’Ova, e con lui lavorano Eugenio e sua moglie Michela Vanoli oltre alla madre di Saverio, Filomena Di Giulio, rinforzo part time.

Il negozio è una specie di laboratorio delle idee, perché Eugenio lo “addobba” di volta in volta con locandine, manifesti, gadget di questo o quel prodotto e, nelle grandi occasioni, come per i Mondiali di Ciclismo del 2008 o il passaggio del Giro d’Italia da viale Milano, spuntano bandiere, maglie rosa, borse, striscioni, e naturalmente la claque per il tifo. “I genitori di papà erano contadini ortolani, coltivatori, mentre lui faceva il fattore. Ha avuto 12 figli, sei maschi e altrettante femmine, da due matrimoni, io sono l’ultimo avuto dalla prima moglie.

Il racconto personale di un negoziante, che è anche ricordo collettivo

Mia madre morì di polmonite a 34 anni, io ebbi una ‘madre di latte’ la cui figlia, Enzina, è come una sorella per me, mentre la zia Rosa continuò l’attività familiare coltivando e vendendo i prodotti della terra. Il primo fratello ad arrivare a Varese fu Alessandro, il maggiore, nel 1949, io lo seguii dieci anni dopo. Lui a 15 anni partì da casa con la sola camicia che aveva indosso e la valigia di cartone, trovò impiego come inserviente alla Polstrada di via Pasubio”, ricorda Eugenio, che sembra animato da un moto perpetuo.

Il giovane Dell’Ova brucia le tappe, a 18 anni trova subito lavoro come garzone nel tempio varesino di frutta e verdura, “Enrichetta”, il cui negozio affacciava allora sulla piazzetta San Giuseppe. “Arrivai in città il 22 ottobre 1959, il 20 novembre già lavoravo. Il negozio, nel 1963 si trasferì in via Volta mentre stavo facendo il militare, reparto Trasmissione della brigata Folgore di Treviso, ma mi mantennero il posto”. Il negozio di Enrica Ganna, lontana parente del Luison campione ciclista, e del figlio Domenico Crugnola, era a quei tempi frequentato come un atelier di moda.

“Alla signora devo tutto, aveva la stoffa della vera imprenditrice, il lavoro a quei tempi era una scuola di vita, lei mi fece prendere la patente, acquistò due Fiat 500, una Giardinetta e una Belvedere, per le consegne, e io partivo alla volta dell’Albergo Volta, del Prealpi, dell’Annunciata e del ristorante Belvedere al Campo dei Fiori, allora di proprietà della famiglia Stocchetti, dove si organizzavano anche feste da ballo”.

Eugenio Dell’Ova racconta una Varese favolosa, piena di vita, con negozi meravigliosi e accoglienti. “Da noi passava tutta la città imprenditoriale, Trolli, Curti, Dansi, Zaini, Sterzi e Bulgheroni, la moglie di Giovanni Borghi arrivava con l’autista mentre lui ogni tanto si faceva vedere di ritorno dal caffè Socrate o dal parrucchiere Sandro che aveva bottega a fianco della nostra. Ho un caro ricordo del marchese Ponti: lui mandava ogni mattino il suo chef a fare la spesa, ma spesso si presentava più tardi di persona, infagottato in una palandrana grigio-tasso che gli arrivava ai piedi e con in testa un grande cappello nero. Era una visione, lasciava la mancia a noi garzoni augurandoci buon lavoro con una pacca sulle spalle. Facevo le consegne in casa Bulgheroni e ricordo che allora ospitavano in casa Tony Gennari, il primo straniero della pallacanestro Ignis”.

Da “Enrichetta” passava spesso Piero Chiara e il re Farouk, che aveva villa sulla strada per Gazzada, vicino a Loreto, e spesso era ospite dai Castelbarco a Casciago, e acquistavano molti milanesi villeggianti alle pendici del campo dei Fiori. “I clienti delle ville erano parecchi, ricordo i Pirelli di Casciago, vo levano le primizie, specialità della casa assieme a funghi e tartufi. Queste arrivavano addirittura dal Sudafrica via Svizzera, dal grossista luganese Pedrini. Erano soltanto tre o quattro cassettine ogni volta, sembravano parure di gioielli. Anche le banane arrivavano da lì e, adesso si può dire, “di sfroso” con la corriera, perché a quei tempi lo Stato italiano ne deteneva il monopolio e tutte le ‘nostre’ banane venivano dalla Somalia, smistate dal grossista Milani di Como”.

Eugenio ha una memoria da elefante, ricorda perfettamente la disposizione dei negozi di allora: “In piazzetta San Giuseppe, da dove partiva la corriera per il giro turistico del Varesotto, c’era la boutique di Anna Maria Pella, salotto di Varese, che tra i clienti annoverava la Dama Bianca, amante di Fausto Coppi. Poi l’albergo ristorante Brenta, l’arrotino Gianola nella vecchia casa ora demolita, Pino l’ombrellaio, mentre in via Manzoni aveva il chiosco il libraio Caravetta. In via Magatti, palazzo Sciarini, dove viveva Piero Chiara, accoglieva il Circolo dei Nobili, poi c’era il caffè Barbera con torrefazione e la pasticceria Vittoria, proprio all’angolo. In via Volta ricordo la cappelleria e valigeria Baroffio, il salumaio Tagnocchetti, Sandro il parrucchiere e i tessuti Squarcina, poi il leggendario panificio Lozza e il negozio di tessuti Checchi nel quale subentrò poi ‘Enrichetta’”.

Storie di una Varese sparita, oggi omologata e priva di identità, nella quale l’umanità veniva prima di ogni cosa: “La signora Enrica ci pagava il pranzo - solo il primo che costava 400 lire - tutti i sabati al ristorante Brenta, mentre la domenica con i miei fratelli andavo a mangiare alla mensa ferroviaria, che per noi era come il Savini di Milano, con i camerieri in divisa! Ogni venerdì pomeriggio, invece, chiuso il negozio, Domenico Crugnola ci offriva l’americano’, che costava 50 lire, al bar dei ‘pelatini’, i fratelli Gergati, allora in via Volta, poi in fondo a via Marcobi. Era un brindisi alla giornata di lavoro più dura, perché il venerdì andavamo a Milano a far rifornimento per il sabato”.

Ne ha fatte l’Eugenio, uscito da “Enrichetta” nel 1974 si è dedicato alla grande distribuzione, responsabile del reparto frutta e verdura di GS fino al ’78, poi negozio proprio assieme ai fratelli in via Carrobbio fino all’89, quindi apertura di punti vendita in diversi centri commerciali in Lombardia, Piemonte ed Emilia e alla fine uno spazio frutta e verdura alle Corti da Varese Carni.

“In viale Milano ci siamo dal 2000, e la cosa bella è che qui vengono ancora i vecchi clienti di ‘Enrichetta’ e molti dei loro figli”, dice sorridendo Eugenio, mentre sistema gli asparagi, dà retta a una signora che chiede le fragole e spiega a sua moglie come disporre la verdura. Instancabile ed entusiasta come sempre, un affabulatore nato, che lancia ami con succose esche di memoria cui è quasi impossibile non abboccare. E mentre ci congediamo arriva l’ennesima citazione: “Si ricorda quando in via Griffi vendevano la trippa al minuto?”. Sinceramente no, anche per ragioni anagrafiche, ma raccontata così quella trippa mantiene tuttora un profumo irresistibile.



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