Per i nostri nonni era uno stile di vita dettato dall’economia della necessità: usare un prodotto, fosse esso un vestito o un qualunque utensile, il più possibile, allungandogli la vita oltre l’immaginabile. Non si butta via niente. Allora era una questione di mancanza di risorse. Oggi, invece, per altri motivi, e in parte anche per gli stessi, visto che si stava meglio quando si stava peggio, si parla di “economia circolare”, ma il concetto è più o meno lo stesso: fare dello scarto o del rifiuto di un’impresa o di un consumatore, materia prima per le attività produttive di altre aziende.

Si chiama economia circolare ed è un fenomeno in rapida espansione nel ciclo produttivo europeo, soprattutto in Italia

Anche qui l’idea è di dare nuova vita, e quindi allungarla il più possibile, agli oggetti per diminuire il ricorso a nuova materia prima, a nuove estrazioni, a nuove emissioni di anidride carbonica nell’ambiente, e ridurre, al contempo, i costi dello smaltimento dei rifiuti in carico al sistema produttivo. Motivi ambientali si mischiano a obiettivi economici e di competitività. Un mix motivazionale, dunque, dalla doppia propulsione. Anche per questo il fenomeno è sempre più diffuso. Gli esempi si sprecano. La Manifattura Maiano, in Toscana, ad esempio produce una linea di isolanti per l’edilizia partendo dall’utilizzo di fibra riciclata da pet (ignifuga e anallergica) o dalla rigenerazione di tessuti di “seconda mano”. Il Gruppo Aquafil nato a Trento, invece, produce un tipo di nylon denominato Econyl. In questo caso la materia prima di partenza proviene da due canali diversi. Uno è quello post-consumo, ossia da prodotti come le reti da pesca o le parti superiori delle moquette o dei tappeti destinati alla discarica ma che, in questo caso, vengono invece riutilizzati. L’altro canale è invece pre-consumo. Ossia proviene dallo scarto del ciclo produttivo del nylon prodotto da altre aziende. Ci sono poi realtà come I:CO che con quei tappi delle bottiglie che tutti noi ricicliamo in ufficio o a casa e che diamo magari in parrocchia, realizza materiali isolanti per costruzioni, imbottiture per giocattoli o borse, rivestimenti di auto e perfino materiale per carta pregiata. 

Storie ed esempi di imprese che utilizzano gli scarti dei consumatori e di altre aziende per creare nuovi prodotti e dar vita a nuovi materiali

C’è chi poi sfrutta la propria rete capillare di punti vendita di abbigliamento per la raccolta di costumi da bagno o di indumenti intimi usati da poter poi re-immettere nel ciclo produttivo, dando in cambio buoni sconto. Come Calzedonia. “Non si tratta semplicemente di produrre sempre le stesse cose, puntando semplicemente su una materia prima diversa e riciclata”. La vera economia circolare, spiega Gaia Pretner, dell’Istituto di Economia e Politica dell’Energia e dell’Ambiente dell’Università Luigi Bocconi, è un motore di innovazione che implica “pensare prodotti nuovi”.

E, dunque, materiali innovativi. Come i circa 5mila contenuti e catalogati nella library della sede milanese di Material ConneXion, uno dei più grandi centri internazionali di consulenza in questo campo. Perché non tutto è ancora stato inventato dal punto di vista della materia da utilizzare nell’industria. Nei laboratori di Material ConneXion, ad esempio, prendono vita più di 40 nuovi materiali sostenibili e processi di realizzazione ogni mese. “Quelli più classici pensati appositamente per l’economia circolare prendono vita soprattutto da carta, vetro, allumino e acciaio. Di recente anche il pet sta generando un’interessante filiera da cui prendono corpo tutta una serie di materiali innovativi, con impiego nell’industria tessile”, racconta Anna Pellizzari, Direttore Esecutivo di Material ConneXion Italia. C’è poi una famiglia di scarti che nessuno peserebbe di poter riutilizzare nel ciclo produttivo e che, invece, si sta rivelando come tra le più promettenti: “Terre frutto della pulizia delle strade, reflui, scarti dell’industria alimentare, ceneri da inceneritore, materie prime tra le meno attraenti – riconosce Pellizzari – ma che il progresso dell’economia circolare riesce a reimmettere nelle fasi produttive delle imprese manifatturiere. Per esempio con le terre di spazzamento delle strade si possono creare delle piastrelle per la pavimentazione”. 

E così dai pneumatici arrivati a fine vita si creano rivestimenti per aree gioco o palestre. I metalli vengono riutilizzati per creare nuovo pentolame. Dai tubi in PVC si arriva ad ottenere imballaggi o utensili per il giardinaggio. Non c’è ormai più limite al riutilizzo. E ciò che oggi è visto come impossibile, domani potrebbe diventare reale. Si va per contaminazione di idee tra centri di ricerca, mondo dell’Università e imprese del sistema manifatturiero. Non è un caso che come sinonimo di economia circolare si usi l’espressione simbiosi industriale. Comunque la si voglia chiamare è un dato di fatto che su questi fenomeni scommetta sempre di più la stessa Unione Europea che per lo sviluppo di una nuova economia del riuso e del riutilizzo ha messo sul piatto 650 milioni di euro. Il punto di partenza dell’Italia è di vantaggio. Le classifiche europee dell’utilizzo efficiente delle risorse per un’implementazione nell’economia circolare ci vede tra i primi posti. Un esempio? Il settore degli imballaggi, dove il tasso di riciclo è ormai pari al 66,9%. Stando agli ultimi dati Eurostat l’Italia è il Paese della Ue che dal 1998 ad oggi ha visto il maggior incremento di imballaggi avviati al riciclo. E ciò avviene in molti altri settori, dove superiamo, anche se di poco, l’efficiente Germania. 

Per sviluppare l’economia circolare la Ue ha messo sul piatto 650 milioni di euro. Obiettivo: arrivare a riciclare entro il 2030 il 65% del rifiuto urbano europeo

Come dire: l’Italia in molti casi ha anticipato nei fatti quelli che ancora oggi per la Ue sono solo degli obiettivi. E ciò proprio grazie all’impegno delle imprese. Non esiste politica di sostenibilità ambientale basata sull’economia circolare senza l’industria e la sua attività di ricerca, sviluppo e implementazione. Si legge in alcune slide proiettate dall’Area Politiche Industriali di Confindustria in un recente incontro con le imprese del Varesotto: “Esistono non solo imprese che hanno fatto della sostenibilità il loro core business, ma anche produzioni tradizionali che, attraverso innovazioni di prodotto e di processo, forniscono al sistema Paese gli strumenti per il raggiungimento di obiettivi di crescita sostenibile”. Di necessità, virtù. Ancora una volta si torna ai nostri vecchi nonni: non si butta via niente, anche perché ci conviene e non ce lo possiamo più permettere. Anche economicamente, non solo a livello ambientale. Sempre le stesse slide di viale dell’Astronomia riportano: “Dobbiamo infatti tener presente che l’industria italiana, povera di materie prime, ha sviluppato una dote innata del fare tanto con poco, valorizzando quanto più possibile i residui produttivi e di consumo, consolidando performance che ci hanno portato ad essere leader europeo nel riciclo industriale, con evidenti risparmi in termini di utilizzo di risorse primarie ed emissioni”.

L’Italia è ai primi posti nel riutilizzo di materiale riciclato nell’industria. Sul fronte imballaggi siamo, per esempio, a livelli del 66,9%

L’obiettivo che l’Europa vuole raggiungere è comunque fissato: arrivare a riciclare a livello continentale il 65% del rifiuto urbano entro il 2030. Il Piano d’azione della Ue per l’economia circolare definisce così la strategia: “La transizione verso un’economia più circolare, in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse è mantenuto quanto più a lungo possibile e la produzione dei rifiuti è ridotta al minimo, è una componente indispensabile degli sforzi messi in campo dall’Unione europea per sviluppare un’economia che sia sostenibile, rilasci poche emissioni di biossido di carbonio, utilizzi le risorse in modo efficiente e resti competitiva”. Perché di questo si parla, di competitività. Una diminuzione tra il 17 e il 25% della richiesta di nuovo materiale da parte dell’industria, comporterebbe una crescita del Pil del 3% e un aumento dell’occupazione con un incremento tra l’1,4 milioni e i 2,8 milioni di posti di lavoro. Quando riciclare conviene. 

 

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