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La ricerca applicata e l’affiancamento alle imprese. Il fiore all’occhiello del master executive MBA. Il fronte avanzato de “L’eandustry 4.0”. Ecco come la nuova scuola dell’Università di Castellanza si prefigge di trasformare le aziende italiane in “agenti del cambiamento”

Tutte le cose di questo mondo hanno un archetipo, anche le Business School. Quella di Harvard negli Stati Uniti è il modello di riferimento perché è stata tra le prime, agli inizi del ‘900, a proporre una specializzazione post-laurea in materie economiche, manageriali e finanziarie. Il suo nome, insieme a quello della London Business School, non manca mai tra le prime posizioni delle classifiche stilate dal “Financial Times” e da “Bloomberg Businessweek”. Negli ultimi anni però lo strapotere degli atenei di matrice anglosassone nella formazione dei manager, ha dovuto fare i conti con la scalata di posizioni di diverse scuole europee, tra cui anche quelle italiane. 
Nel 2015 la LIUC - Università Cattaneo di Castellanza ha realizzato al proprio interno il primo centro di ricerca italiano sui temi della competitività affiliato al network di Michael Porter, professore della Harvard Business School, e due anni dopo ha inaugurato la sua Business School sotto la direzione del professor Raffaele Secchi.

Professore, che cosa differenzia la vostra Business School dalle altre?
Sia per quanto riguarda il corpo docente che per le relazioni c’è un elemento di continuità con il dna della LIUC che nasce come Università vicina alle imprese. È un’identità molto forte al punto tale che la core faculty è composta da 45 docenti di cui oltre l’80% opera all’interno dell’Università. La nostra principale caratteristica è la capacità di lavorare con le imprese e per le imprese.

Però non tutte le Business School nascono all’interno di Università.
È vero, e spesso sono iniziative che non hanno una faculty costituita da docenti universitari. Senza nulla togliere ai professionisti, credo invece che avere docenti universitari sia un grandissimo valore perché hanno rigore e metodo nell’insegnamento. Nel nostro caso spesso hanno maturato esperienze all’interno delle aziende, nel ruolo di imprenditore, manager o consulente. Quindi ciò che ci qualifica è una commistione positiva tra metodo scientifico, rigore accademico ed esperienza sul campo.

Il Direttore Raffaele Secchi: “Sia per quanto riguarda il corpo docente che per le relazioni c’è un elemento di continuità con il dna della LIUC che nasce come Università vicina alle imprese”

Qual è la proposta formativa della vostra Business School?
Ci muoviamo intorno a quattro aree di attività. La ricerca applicata e i servizi di affiancamento alle imprese, dove svolgiamo una serie di attività come advisory, assessment, piani di riorganizzazione e miglioramento dei processi che aiutano le imprese ad affrontare alcune tematiche specifiche. È una ricerca che non va confusa con quella scientifica che viene svolta all’interno dell’Università, anche se c’è una fortissima interazione tra le due in quanto la ricerca scientifica è il primo mattone di conoscenza su cui costruire quella applicata. La formazione a catalogo, con cui offriamo alle aziende più di 25 iniziative formative. Il nostro fiore all’occhiello è il master executive MBA, rivolto a persone che hanno già una significativa esperienza aziendale e ricoprono ruoli importanti. Inoltre segnalerei il corso “L’eandustry 4.0”, una proposta relativa al tema dell’industria 4.0 che abbiamo abbinato alla lean manufacturing. Poi c’è la formazione su misura, cioè fuori catalogo, che ci permette di progettare percorsi formativi in partnership con le aziende. Infine proponiamo nove Master universitari che rilasciano un titolo di studio con valore legale. A queste quattro aree si aggiunge l’attività di 6 centri di ricerca dove docenti e ricercatori sviluppano conoscenze e competenze sui principali temi di management.

Spesso si accusano le imprese italiane di soffrire di “nanismo” e al tempo stesso si sottolinea l’importanza di sviluppare un ecosistema industriale che sia coerente con la dimensione della piccola impresa. In questa dinamica un po’ strabica qual è il ruolo e il contributo che può dare una Business School come la vostra?
La Business School è un elemento importante all’interno dell’ecosistema che è formato da imprese, istituzioni e associazioni. La priorità non è necessariamente la crescita dimensionale, ci sono centinaia di esempi di nostre realtà medio-piccole molto attive sui mercati internazionali che però non fanno notizia. Credo invece che la priorità sia la crescita delle competenze all’interno delle nostre imprese e la Business School serve a questo, cioè a dare linfa vitale alle aziende in termini di competenze manageriali. È una missione sociale nel senso che la Business School si deve porre come un elemento propulsivo all’interno della nostra società. Se riusciamo a fare bene il nostro lavoro e a formare giovani appena laureati e persone che sono già all’interno delle aziende, dando loro strumenti, metodi e visione, non solo li aiutiamo nei percorsi professionali, ma trasformiamo le loro aziende in agenti di cambiamento, cosa di cui l’Italia ha molto bisogno.

Quali sono le vostre sfide?
Ce ne sono almeno tre: sviluppare le relazioni internazionali, innovare la metodologia didattica e aumentare la nostra visibilità. Per quanto riguarda la prima, alcune relazioni, come quella con il gruppo di Michael Porter e alcuni colleghi della London Business School, sono già consolidate. Altre si stanno concretizzando. Per esempio nella terza edizione dell’executive MBA, i partecipanti potranno seguire due moduli presso la IESEG School of Management di Parigi, tra le più prestigiose in Europa, arricchendo in questo modo il valore del programma. Sulla didattica vogliamo garantire sempre più esperienzialità dei momenti formativi perché le persone, oltre a seguire le lezioni frontali, sono sempre più abituate a “sporcarsi le mani” e credo che in questo processo di apprendimento il nostro I-Fab sia un esempio molto interessante. La terza sfida è aumentare la nostra visibilità perché nonostante il nostro radicamento ho l’impressione che molte imprese del territorio non conoscano ancora tutti i servizi che offre la Business School e quindi dobbiamo lavorare per farci conoscere. Occorre infine uscire dai confini territoriali perché la vocazione in prima battuta non può che essere nazionale. 

Che cosa fa la LIUC Business School

La Business School della LIUC - Università Cattaneo ha quattro aree di attività principali: la ricerca applicata e i servizi di affiancamento alle imprese, la formazione a catalogo, la formazione su misura in partnership con le aziende e Master universitari che rilasciano un titolo di studio con valore legale. All’interno della Business School sono attivi sei centri di ricerca che sviluppano conoscenze e competenze sui principali temi di management. In particolare: sulle operations, la logistica e il supply chain management, sull’imprenditorialità e la competitività, sul cambiamento, la leadership e il people management, sulla finanza per lo sviluppo e l’innovazione, sull’economia e il management nella sanità e nel sociale, sullo sviluppo dei territori e dei settori. 

 



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