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Una coreografia botanica

Il giardino di Villa Panza accoglie contesti architettonici e arborei molto vari, frutto di sovrapposizioni paesaggistiche avvenute nel corso dei secoli.

"E' il bel giardino che in remota parte / la maga Armida ad abbellir s'accinge": così, a metà Settecento, recitava il poeta dialettale milanese Domenico Balestrieri, il quale, avendo probabilmente tratto scarso profitto dalla sua traduzione in versi milanesi de "La Gerusalemme Liberata", si dava da fare per cercare di mettere insieme il pranzo con la cena.
Un espediente allora (e non solo allora) in voga presso i poeti era quello di sostentarsi scrivendo versi encomiastici in lode dei potenti del momento.
Ora, noi non sapremo mai in che misura il marchese Paolo Antonio Menafoglio seppe ricambiare tanta grazia poetica versata in onore del suo giardino, ma noi posteri, che per cercare di ricostruire il passato ricorriamo a notizie d'ogni genere, siamo disposti a leggere con interesse anche i sonetti celebrativi del Balestrieri. In verità, non se ne ricava molto, se si fa eccezione per una generica descrizione del paesaggio: "...e di valli e colline intorno sparte / questo mirabil sito adorna e cinge". In un successivo componimento, egli aggiunge solo che "...su questo poggio erto e sublime / gli orti sì vaghi e la gentil foresta / contemplo...", là dove per "orti" si deve intendere "giardini" (dal latino hortus, in senso ornamentale). Quanto alla "foresta", non riusciamo a localizzarla, a meno che egli non alludesse, metaforicamente, a una macchia di alberi. Tutto qui: dal lontano Settecento non è arrivato altro riguardo al purissimo impianto formale, che doveva abbellire il
palazzo da poco ristrutturato per volere del marchese, il quale, oltre che amico personale ed ospite del duca Francesco III d'Este, in un certo senso ne fu anche il rivale, nella nobile gara paesaggistica che vedeva confrontarsi da un colle all'altro i due giardini: questo di Biumo Superiore e l'altro laggiù, a sud, sul luogo dell'antico "Castellazzo". La competizione non durò molto, perché il Menafoglio - che aveva portato avanti i lavori fin dal 1754 circa - morì nel 1769, lasciando ai successori il compito di mantenere e curare la sua "deliziosissima villa". Dopo esser passati in proprietà ad altri personaggi della Varese settecentesca (che peraltro erano milanesi), villa e giardino furono acquistati nel 1823 dal duca Pompeo Litta Visconti Arese, appartenente alla cospicua famiglia milanese che era proprietaria, fra l'altro, della splendida villa d'origine cinquecentesca di Lainate. Possiamo ben comprendere come i lavori ordinati dal duca relativi alla sistemazione degli edifici fossero accompagnati da altrettanti rifacimenti, questa volta sostanziali, del giardino, che fu allargato rispetto all'impianto settecentesco e soprattutto modificato nella struttura architettonica. Si trattava, in pratica, di introdurre tutti quegli elementi stilistici e botanici che le nuove regole del giardino cosiddetto "all'inglese" imponevano nei primi decenni dell'Ottocento. Tale impostazione rimase pressoché inalterata per tutto il XIX secolo fino ai primi decenni del XX, quando alcune modifiche furono introdotte, nel 1936, dall'architetto Piero Portaluppi, su commissione dei nuovi proprietari, i conti Panza di Biumo.
I visitatori dell'incantevole Museo di Arte contemporanea, recentemente inaugurato ad opera del FAI, non mancano mai di visitare anche il giardino, che neppure nei mesi invernali perde il suo fascino. Anzi, a nostro avviso, è proprio questo il periodo migliore per godere delle bellezze del sito, sia perché è più facile la visione della lontana e innevata catena alpina, che svolge un suo preciso ruolo nel contesto della scenografia, sia perché, nelle fredde giornate, gli estimatori possono meglio apprezzare le più interessanti specie vegetali che col tempo si sono qui accumulate. Osservando l'ambiente con attenzione si possono, inoltre, mettere a fuoco le sovrapposizioni avvenute nel corso dei secoli: gli elementi formali del primitivo impianto settecentesco, le massicce trasformazioni paesaggistiche ottocentesche, le scarse modifiche novecentesche, comprese quelle di carattere decorativo seppure, riteniamo, non definitive, connesse al restauro del FAI. Uscendo dal cortile d'onore, si ha di fronte il vasto
parterre, che conserva in gran parte il disegno antico, con un viale prospettico che parte dal cortile e dalla cancellata fino a raggiungere il belvedere, aperto al panorama del lago e delle Alpi. Il parterre, in linea con i principi dell'arte dei giardini "all'italiana", è formato esclusivamente da riquadri erbosi e da arbusti di bosso modellato a forma di palla. Il lato orientale è definito da un tunnel di carpini, oltre il quale la simmetria viene mantenuta dalla disposizione delle piante e da una fontana, mentre il prato è solcato asimmetricamente da due viali. Alcune presenze botaniche (soprattutto l'Araucaria) dicono che in quest'area la moda del giardino all'inglese non si è troppo curata d'invadere spazi non suoi. Questa parte di giardino si conclude con una balconata, al di sotto della quale il giardino assume i caratteri della moda paesistica. Sulla destra, di là dalla vecchia aranciera, si ha un breve viale trasversale, in direzione nord, che si conclude con una nicchia di gusto barocco: è qui, pensiamo, che è possibile rintracciare i motivi dell'intervento "integrativo" del Portaluppi. Poco più a ovest, invece, ci si imbatte in
una delle più tipiche "invenzioni" romantiche: la collinetta dominata da un tempietto di gusto neoclassico. Attorno a questa costruzione si svolge una cortina arborea, realizzata prevalentemente con conifere e altre specie sempreverdi. In particolare, va notata la presenza di bellissimi lecci (Quercus ilex) e soprattutto di una sequoia (Sequoiadendron giganteum), la pianta più massiccia esistente in natura, che nell'originaria California ha raggiunto i 135 metri d'altezza e i 3.500 anni d'età. Allo scopo di addolcire l'aspetto severo di questa "foresta" (per dirla con il Balestrieri) sono stati inseriti alcuni arbusti dalle fioriture colorate, come le forsizie e gli oleandri. Sullo sfondo delle Alpi, però, ci attende un albero mastodontico, che attira l'attenzione fin dal primo sguardo: è una quercia imponente, che domina la parte finale del parterre, stagliando le sue branche contro il cielo azzurro, bellissime forme in rilievo quando le giornate sono terse e luminose. Collocato chissà quando e chissà come, in un punto architettonicamente inadeguato (le regole formali non hanno mai consentito simili "intrusioni" che interrompono il rigore delle simmetrie) il cerro (Quercus cerris) ha tratto guadagno proprio dagli spazi concessigli dal vicino parterre e si è sviluppato in maniera davvero ammirevole. Non per nulla, è stato inserito dal Corpo Forestale dello Stato nell'elenco degli alberi monumentali d'Italia. Sull'altro lato, invece, si snodano alcuni vecchi tigli che introducono, mediante un sentiero in lieve discesa, alle aree più chiaramente romantiche. In primo luogo il laghetto, seminascosto dalla vegetazione: una vera sorpresa - anche questa in perfetta linea romantica - se si pensa che ci troviamo a quattro passi dal centro di Varese. Tutt'intorno, arbusti dotati di fogliame ornamentale, ma anche fiori ed erbe idonee per decorare il piccolo bacino d'acqua. Proseguendo in direzione est, percorreremo il vasto tratto del ripiano inferiore, avendo sulla sinistra il possente muraglione che sostiene il terrazzo del parterre, dominato da un vecchio e grosso leccio. Qui si ha tutto l'agio di ammirare la piacevole disposizione delle piante, inserite in modo solo apparentemente naturale o casuale, rispondendo invece a precisi criteri di alternanza di masse, volumi, altezze e soprattutto colori. E non basta, perché se si osserva con attenzione, si può notare che alcune piante hanno raggiunto età e dimensioni di tutto rispetto: un vecchio tasso (Taxus baccata), due magnifiche magnolie sempreverdi (Magnolia grandiflora) che paiono vigilare dall'alto il nostro cammino e un isolato, profumatissimo osmanto di specie non comune (Osmanthus yunnanensis). Poi, a confine con la sottostante proprietà Veratti, o Villa San Francesco, la vegetazione si fa più fitta, con piante che in autunno si colorano di giallo e di scarlatto: carpini, faggi e querce rosse. Costeggiando l'ingresso di quella che fu la finta grotta, in ciottoli e rivestimenti a "spugna" - anch'essa presente in tutti i giardini nobiliari di quest'epoca - si risale
verso il piano della villa, di fronte all'ala orientale dell'edificio. Qui, alcuni anni or sono, l'ornamentazione verde ha subito qualche aggiustamento, soprattutto con l'inserimento di arbusti da fiore, anche per supplire in qualche modo alla grave perdita di un enorme faggio rosso, crollato al suolo tempo fa. Anche in questa zona, tuttavia, come in tutte le precedenti, si respira quell'atmosfera che incantò il Balestrieri e miriadi di ospiti, che non si facevano certo pregare se invitati a una delle feste su cui ancor oggi si favoleggia.

I siti di VILLA PANZA:
http://www.villapanza.it
http://www.vareseweb.it/villapanza

La prossima puntata di Varesefocus su Villa Panza:
Villa Panza: uno spazio per l'anima

06/21/2001

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