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Sant'Antonio e le teorie del Camillo (Boito)

Esperienze progettuali nella costruzione del vecchio ospedale di Gallarate di un architetto-teorico di fine Ottocento.

"E' probabile che il detto ospizio gravitasse sulla Confraternita di S. Antonio Abate (che aveva come luogo di devozione e di culto la chiesa omonima), i cui componenti erano detti anche 'disciplini', per la severa penitenza a cui erano solito assoggettarsi."
(L. Aspesi, "Gallarate nella storia e nella tradizione", 1978)

"Si trattava di una di quelle 'schole' di preghiera e di misericordia, allora molto vive nelle nostre plaghe, colpite, più di adesso da pestilenze, carestie, siccità, cose tutte aggravate dalle incursioni di soldati di ventura, dediti al saccheggio, alla distruzione, agli incendi, per cui le popolazioni abbisognavano immensamente di carità."
(M. Turla, "Le visite pastorali di San Carlo Borromeo nel 1570")

Sembrerebbe, dunque, che lo "spedale" di Gallarate debba essere fatto risalire al XVI secolo, ma prima? Prima del "Sant'Antonio", Gallarate disponeva di uno "xenodochio" e, prima ancora, di una casa per l'assistenza alla mendicità, della quale le prime notizie sicure risalgono al XIII secolo, mentre quelle da "confermare" la farebbero risalire addirittura al IX secolo.
L'intrapresa ebbe una vita non facile, dovendosi di mano in mano e faticosamente adeguare al modo di concepire la vita umana lungo il corso dei secoli e fino al chiudersi del 1700, quando, finalmente, si mossero le prime iniziative per realizzare un ospedale moderno e non più solo un luogo di "carità", in grado di assorbire i malati della zona i quali, fino ad allora, erano avviati all'Ospedale Maggiore di Milano, con tutte le negatività del caso.
Se già nel 1860 Gallarate ottiene il titolo di "città", è solo negli anni seguenti che si dà concretezza alle istanze per la creazione dell'istituzione sanitaria e si giunge alla redazione di un piano organico di sviluppo.
Ancora una decina d'anni e da questo si passa a qualcosa di maggiormente concreto quando Andrea Ponti regala "la Vignetta del Ponte di Arnate" e, presumibilmente, paga di tasca propria il progettista, il Prof. Camillo Boito, affinché questi metta, nero su bianco, il progetto edilizio.
Camillo Boito fu la personalità che maggiormente emerse nell'ultimo quarto dell'Ottocento soprattutto nel campo degli studi storici dell'architettura. Nato a Roma nel 1836, morto a Milano nel 1914, si era formato in Germania e a Venezia, dove ebbe la sua prima cattedra di architettura. Boito ebbe notevole influenza in Italia, nello stesso modo in cui l'ebbe in Francia Viollet-le-Duc o, in Inghilterra, John Ruskin.
Fondò la rivista "Arte italiana decorativa e industriale" e, come storico, pubblicò nel 1880 "Architettura del Medioevo in Italia".
Nel 1893 stampò a Milano le "Questioni pratiche di Belle Arti", condensandovi la sua trentennale esperienza di insegnante.
La sua impostazione teorica, le sue posizioni e le ricerche sul restauro dei monumenti storici sono già precise nel 1879, quando presenta al Congresso degli ingegneri e architetti una relazione sul restauro dei monumenti, riproponendo le sue tesi nel 1883, a Roma, in quella che può essere considerata, a tutti gli effetti, la prima "Carta del Restauro" non solo italiana.
Come architetto appartiene al periodo "eclettico e romantico"; non sfuggì, dunque, a quello che è considerato l'equivoco del suo tempo: ricercare nelle "architetture medievali" le possibilità di assimilazione e di adattamento alle esigenze moderne.
Un buon esempio di tale impostazione concettuale è riscontrabile proprio nell'ospedale di Gallarate, il cui progetto definitivo fu presentato nel 1870; in esso, infatti, trovano applicazione molte delle varie impostazioni teoriche dell'autore e che, come abbiamo visto, troveranno notorietà in momenti successivi.
Il progetto di Camillo Boito - che a Gallarate aveva già realizzata, nel 1865, la "cappella Ponti" entro il cimitero monumentale della città - prende spunto da alcuni capisaldi tipologici che definivano, secondo gli studi dello stesso autore, l'architettura medioevale lombarda:

  • l'uso della pietra e del laterizio a vista;
  • l'alternanza dei materiali e, dunque, dei colori;
  • i volumi dei fabbricati netti e chiaramente individuabili;
  • l'utilizzo di porticati praticabili;
  • i corpi di fabbrica dotati di loggiati;
  • le coperture spioventi e ben delineate;
  • le altezze limitate;
  • le piante a "corte", con spazio centrale "privato".
Per quanto noto dai documenti d'archivio, infatti, Boito non ha alcun tentennamento e presenta un progetto perfettamente definito: esso é impostato su un manufatto composto da tre corpi di fabbrica disposti a "C", i quali definiscono una corte centrale che si apre verso lo spazio interno della proprietà.
La facciata principale viene allineata direttamente sulla pubblica via in quanto, quasi a richiamare gli edifici in "cortina", risponde alla precisa esigenza "moderna" di garantire un immediato accesso alle "ambulanze" che provenivano dalla città. Queste non solo possono avvicinarsi all'ospedale, ma possono effettuare il trasbordo dei malati direttamente nei pressi degli "ambulatori", in una zona protetta da un ampio androne carrabile che ha il compito di "filtro" tra l'esterno e l'interno.
La vista delle facciate esterne dimostra come l'architetto abbia inteso applicare fedelmente i concetti di simmetria e di gerarchia: l'entrata principale - esattamente centrata nella lunghezza - viene avanzata rispetto all'allineamento principale e viene coronata con l'unica trifora che occupa tutto il piano primo.
La copertura stessa presenta un fastigio geometrico scalare che viene concluso con una cornice aggettante.
Il piano terra - nella parte predisposta per l'arrivo delle ambulanze ed il loro ricovero - è definito da un loggiato che presenta due fornici verso strada mentre un solo arco stabilisce la sua profondità. Il rettangolo dell'avancorpo dell'entrata principale ha ai vertici quattro pilastroni, ma viene alleggerito nella parte centrale da due colonne binate, secondo un accostamento certamente inusuale.
Se le facciate principali verso strada sono conchiuse, armonicamente, dalle impronte delle "ali" che da qui si protendono verso l'interno, si deve rilevare come il succedersi regolare delle aperture sia al piano rialzato sia al mezzanino che al piano primo, renda ragione chiaramente del modus operandi di Boito.
Lungo le facciate interne, il porticato del piano rialzato ed il loggiato del piano primo sono, nuovamente, legati a precise regole compositive che concretizzano la sensazione di sicurezza e di robustezza, certamente opportune in un ambiente così particolare, ma che, nel contempo, consentono un disimpegno protetto dei singoli locali e, all'opportunità, permettono il soggiorno, in zona esterna ma protetta, dei pazienti.
Se originariamente il complesso era chiamato ad ospitare infermeria, sale degenze, amministrazione ed ambulatorio, abitazione del medico e delle suore, cappella, cucina e camera mortuaria, oggi il padiglione è ancora in grado di assicurare, dignitosamente, la sede ai servizi di otorino-laringoiatria, psichiatria, economato, farmacia, spedalità, banca; contiene, inoltre, la direzione sanitaria ed accoglie, nell'interrato, alcuni magazzini.
In conclusione, dunque, Boito:
  • ha voluto applicare le proprie "teorie" storiche alla progettazione di un'opera pubblica, contando sul fatto che questa sarebbe stata effettivamente realizzata;
  • ha ritenuto di poter dimostrare come detti canoni non servissero unicamente per esercitazioni teoriche di tipo accademico, ma che avrebbero potuto avere effettiva applicazione pratica; che, infine,
  • il richiamo ai modelli medioevali, del tutto soddisfacenti dal punto di vista estetico, avrebbe assolto anche ai moderni bisogni, indotti da esigenze del tutto difformi da quelle della popolazione italica del '300.
Perbacco! è stato un buon lavoro, Camillo!!

02/15/2001

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