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Lavoro, politiche attive prossime venture

La riforma del mercato del lavoro avviata con la legge Biagi deve essere completata con quella degli ammortizzatori sociali. Per passare dall'assistenzialismo a nuove opportunità di occupazione. Dalle politiche passive a quelle attive, come nel resto d'Europa.

Per mesi si sono susseguite esternazioni di esponenti della maggioranza di governo che hanno insistito sulla necessità di modificare, o addirittura sopprimere, la legge Biagi, quella varata dal governo precedente anche per ampliare la possibilità di fare ricorso anche a nuove tipologie contrattuali flessibili e innovative (Varesefocus n. 6/2006 e n. 1/2007). In questo dibattito tra sostenitori e detrattori della Biagi, manca però un elemento di riflessione. La portata della legge Biagi, infatti, non può essere pienamente valutata e apprezzata di per sé, senza considerare che manca l'altro pilastro della riforma del mercato del lavoro che la Biagi ha avviato. L'altro pilastro è quello degli ammortizzatori sociali, o, meglio, la riforma degli ammortizzatori sociali verso una piena valorizzazione delle cosiddette politiche attive. Biagi, infatti, era un convinto sostenitore della modernizzazione del diritto del lavoro per dare efficacia a quegli aiuti che lo stato sociale prevede nei casi in cui il lavoratore rimanga temporaneamente o senza lavoro.
In un quadro come quello immaginato da Marco Biagi avrebbero perso molto del loro significato distinzioni come quella tra contratti standard, cioè a tempo indeterminato, e contratti di durata: quelli che per taluni sono forme flessibili e per altri invece sono lavoro precario. Perché un sistema capace di rimettere rapidamente ed efficacemente in circolo, nel mercato del lavoro, persone che hanno perso la propria occupazione sarebbe in grado di sterilizzare gli effetti negativi della trasformazione del lavoro.
Ecco allora la necessità di mettere mano all'attuale sistema degli ammortizzatori sociali, che sono pensati soprattutto per salvaguardare la capacità di guadagno dei lavoratori, come anche nei casi di riduzione delle soglie produttive aziendali (cassa integrazione guadagni ordinaria) e di ristrutturazione aziendale (cassa integrazione guadagni straordinaria). "Dobbiamo trovare - ha affermato Cesare Damiano in occasione di una conferenza dei ministri del lavoro tenutasi a Berlino nel settembre 2006 - dei meccanismo che possano conciliare flessibilità e sicurezza del lavoro.
L'Italia soffre di un'anomalia: negli altri paesi europei, dove esistono forme di flessibilità, esistono anche istituzioni che forniscono sicurezza sociale.
Nel nostro paese invece la mancanza di reti di protezione enfatizza la percezione della precarietà”.
Anche per Confindustria è urgente riformare gli ammortizzatori sociali "perché quelli esistenti funzionano bene ma non sono adeguati rispetto alle evoluzioni venutesi a determinare” - si legge in una nota -. ”Questo è il nodo da affrontare, non la modifica della legge Biagi. Occorre, dunque, individuare nuovi strumenti - ribadisce Confindustria - aggiuntivi rispetto a quelli esistenti, perché riferiti a ipotesi di intervento diverso.
Infatti, si devono immaginare strumenti per il sostegno al reddito di chi si viene a trovare in situazioni in cui si alternano fasi di lavoro con periodi di non lavoro. Sostegno al reddito, ma anche formazione specifica per favorire l'accettazione delle nuove occasioni di lavoro”. E' in questa logica che si deve leggere la volontà di Confindustria di riformare gli ammortizzatori sociali: minori costi, più equità, più risorse per le politiche attive che mettano a disposizione delle imprese persone con professionalità migliori e più adatte alle necessità.
Gia nel 2003 la legge Biagi ha delegato il governo a definire delle forme di raccordo tra il pubblico e il privato, al fine di stimolare il miglioramento dei servizi di accompagnamento al lavoro a vantaggio dei soggetti in cerca di occupazione. Già, ma a che punto siamo? Siamo al punto che, a fianco del collocamento pubblico, sono cresciute le agenzie private, quelle di lavoro "somministrato” e le società di outplacement, cioè le agenzie che si occupano del supporto alla ricollocazione professionale, ossia al reinserimento nel mercato del lavoro di lavoratori in esodo, individualmente o collettivamente.
Queste ultime, in particolare, offrono una risposta sul piano dell'aiuto a trovare una nuova occupazione e lo fanno per tutte le figure professionali in difficoltà.
"In realtà - sostiene Gabriella Lusvarghi amministratore delegato di DBM Italia e vicepresidente di Aiso, l'associazione che raggruppa le società di outplacement - le nostre società si occupano di tutte le fasce professionali: dirigenti, impiegati, operai e l'esperienza ci dice che l'outplacement funziona. A livello nazionale, cito dati di Aiso, attraverso l'outplacement individuale si è raggiunto quasi il 100% di ricollocazioni (l'operazione termina a ricollocamento avvenuto).
La ricollocazione è avvenuta per il 71% con lavoro dipendente e per il 29% in modi diversi: consulenza, imprenditoria, temporary management. Mentre l'ouplacement collettivo ha ottenuto l'88% di successo, con il 91% di ricollocazioni con lavoro dipendente ed il 9% come lavoratore autonomo/imprenditore.”
Resta il tema del raccordo tra pubblico e privato, che in questa prima fase si è sostanziato nel rilascio delle autorizzazioni, previste dalla legge, alle agenzie e alle società private.
Un primo passo. E' importante però evitare che il mercato del lavoro possa diventare duale, quello delle professionalità medio-elevate, gestito da operatori privati, da un lato, e quello delle basse professionalità e delle fasce deboli affidato esclusivamente al servizio pubblico, dall'altro.
Un sistema pubblico ed un sistema privato che si muovono autonomamente, senza collaborazione, e perseguendo obiettivi differenti può far correre il rischio che si apra una forbice anche nel mercato del lavoro: quello della professionalità medio-elevate, gestito da operatori privati, da un lato, e quello delle basse professionalità e delle fasce deboli affidato esclusivamente al servizio pubblico, dall'altro.

02/23/2007

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